La Società Operaia piange Italico Tubero

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La Storica Società Operaia di Pordenone piange Italico Tubero, il presidente onorario che nel 2014 il sodalizio decise di celebrare intitolando col suo nome la sala consiliare di Palazzo Gregoris.

Il presidente Tubero è mancato questa mattina ai suoi cari, alla moglie Licia Vianello, ai figli Paolo e Daniela e ai nipoti. Avrebbe compiuto 94 anni il prossimo 11 aprile e nel 2023 la Società Operaia gli avrebbe tributato l’attestato di Socio con 70 anni di iscrizione all’associazione. I funerali verranno celebrati venerdì 11 marzo alle 10 nel Duomo Concattedrale San Marco, dove il giorno precedente (giovedì 10) alle 18 è previsto il rosario.

Nato a Pordenone nel 1928, Tubero è diventato socio dell’Operaia nel 1953. Qualche anno più tardi è entrato a far parte del direttivo, fino all’elezione a Presidente nel 1972, carica che ha ricoperto fino al 2013.

Sotto la sua presidenza la Somsi ha iniziato un percorso fondamentale di consolidamento e valorizzazione del proprio patrimonio culturale, a iniziare da Palazzo Gregoris e dalla Biblioteca storica. Per 41 anni è stato la guida di questa associazione, prestandosi anima e corpo alla città, sia per il suo contributo al mondo associativo e del volontariato, sia nell’attività lavorativa come funzionario prima e dirigente poi del Comune di Pordenone, dove ha prestato servizio per 46 anni. Nella sua carriera è stato insignito del titolo di Cavaliere nel 1970, poi di Ufficiale cinque anni più tardi, di Commendatore nel 1978 e infine nel 1992 di Grande Ufficiale.

Nel 2013 Tubero decise di lasciare le redini dell’Operaia a Rosa Saccotelli Pavan, che ne ha colto il testimone e portato avanti il programma di lavoro, fino al passaggio di testimone all’attuale presidente Mario Tomadini. «È una figura fondamentale per comprendere la nostra città – lo ricorda Tomadini – Tra Italico e Rosetta abbiamo perso mezzo secolo di Operaia. Si è sempre distinto per la propria tenacia, lungimiranza e capacità di comprendere il momento.

A lui dobbiamo la tutela di Palazzo Gregoris, che sotto il suo mandato è rinato grazie a un importante restauro. Ma il suo contributo verso la nostra città si qualifica anche per il suo servizio in municipio dove ha lavorato nel settore tecnico, legato alle infrastrutture pubbliche e loro relativa manutenzione. Ha affrontato i momenti più bui per la città, come la grande alluvione del 1966 e il terremoto. Mi lega a lui un personale affetto. Ero completamente sconosciuto la prima volta che misi piede in Operaia proponendo un manoscritto dedicato alla storia dei Vigili del Fuoco. Lui ascoltò e mi diede fiducia. Credette in uno sconosciuto. A lui devo molto».

Un uomo del volontariato ma con un radicato spirito delle Istituzioni, «con lui se ne va un pochino di Pordenone. Era una persona d’altra epoca, sempre inappuntabile, figura per cui provare profondo rispetto – lo ricorda il sindaco di Pordenone Alessandro Ciriani – L’ho conosciuto al tempo in cui ho presieduto la Provincia di Pordenone. Diede alla Somsi di Pordenone un taglio importante, la fece diventare una struttura culturale di riferimento per la città. Mi legava a lui un rapporto cordiale e correttissimo».

La morte di Italico Tubero è sopraggiunta ieri in tarda mattinata. Nel 2014 la Società Operaia gli tributò la sala consiliare di Palazzo Gregoris, un atto che formalmente celebrava il debito morale del sodalizio nei confronti del Presidente onorario, specialmente per quanto fece per il palazzo storico sede dell’associazione e di una biblioteca storica. Nello stesso anno Tubero ricevette anche il Premio San Marco, sigillo del suo affetto verso la propria città.

BIOGRAFIA

Nel 1936, la famiglia Tubero (composta dal padre Antonio, la madre Giulia e due figli Italico e Annamaria), per motivi di lavoro si trasferisce a Monfalcone, dove il padre, Antonio, trova occupazione come falegname presso i Cantieri Navali del luogo. Il figlio Italico continua gli studi a Monfalcone dove frequenta la scuola media e poi l’Istituto Tecnico Industriale “A. Volta” di Trieste – settore perito edile. Nel 1943, a seguito delle vicende belliche, la famiglia rientra a Pordenone, e il capo famiglia Antonio mantiene il lavoro a Monfalcone mentre Italico prosegue gli studi a Trieste.

Nell’autunno del 1944, per l’aggravarsi del conflitto mondiale e la conseguente invasione del territorio triestino, padre e figlio abbandonano i rispettivi impegni a Monfalcone e a Trieste, con la convinzione di riprendere, per il figlio Italico, gli studi forzosamente sospesi, vista anche la mancanza di analoga struttura scolastica nel pordenonese. A seguito di un rastrellamento tedesco (10 ottobre 1944), Italico fu inviato insieme ad altri 300 a Salcano (Gorizia) in un campo di lavoro dove si costruivano le teleferiche che conducevano al Monte Sabatino e al Monte Santo.

Dopo due mesi abbondanti, grazie ad una fortunosa fuga, organizzata assieme ad alcuni compagni, il giovane Italico Tubero rientrò a Pordenone e, per non incorrere in analoghe disavventure, il padre Antonio lo iscrisse alla nota “TOT”, che operava in Pordenone per la costruzione di sbarramenti difensivi.

Al termine della guerra, nel giugno del ’45, il giovane Tubero fu assunto come impiegato provvisorio, presso l’Ufficio tecnico del Comune di Pordenone, e già all’epoca, nonostante la giovane età gli furono affidati incarichi di notevole responsabilità come il compito di sorvegliare e registrare le presenze di numerose squadre di operai (circa 300 persone), addetti al ripristino della viabilità gravemente danneggiata dalla guerra.

Iniziò così la carriera del giovane Tubero all’interno dell’amministrazione pubblica pordenonese. Nella lunga carriera di dipendente comunale (durata ben 46 anni), ha ricoperto diversi incarichi di responsabilità. Importante è stato l’impegno profuso soprattutto in occasione del sisma del 1976 che colpì il Friuli, Pordenone compresa, e che mise a dura prova l’organizzazione tecnica del Comune. Concluse la carriera come Dirigente tecnico – IX livello.

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