Perché gli androidi ultra realistici ci spaventano così tanto? Ecco perché

Attualità

Qualche mese fa il mondo intero ha assistito ad uno dei più incredibili eventi della robotica: la presentazione di Ameca, il robot umanoide più avanzato e realistico mai concepito fin ad ora. In molti, dopo aver visto quel video, hanno provato un forte senso di inquietudine. Scopriamo perché succede.

Quando pensiamo ai robot avanzatissimi, agli “androidi” o a qualsiasi altra forma di automatizzazione avanzata (leggasi “bot” e “IA”), spesso ci viene da chiederci se esiste un vero limite tra linee di codice, algoritmi e pensiero cosciente.

Tale dubbio è lecito, soprattutto se consideriamo l’epoca di innovazione che stiamo vivendo nelle ultime decadi (e che andrà sempre più veloce nelle prossime). Quando si passerà il limite di “macchina” per arrivare ad un organismo sintetico autocosciente? Questa domanda, unita a tutto ciò che può comportare nella nostra società, è alla base del timore che proviamo quando ci interfacciamo con robot avanzati, specialmente quelli con fattezze “più umane dell’umano”.

L’idea di assistere alla nascita di una tale intelligenza può provocare apprensione (dovuta, principalmente, anche all’abuso che se ne è fatto in ambito cinematografico e letterario), dal momento che potremmo considerarla fuori controllo o “altro da noi” (che la nostra fobia sia una sorta di razzismo verso le macchine? Non fate piangere i robottini, cattivoni!).



Escludendo gli scherzi, ci sono altri fattori anche più materiali che contribuiscono a questo “timore”: prima di tutto va considerato che secondo studi di psicologia e robotica noi umani siamo istintivamente propensi a riflettere su una macchina determinate sensazioni umane. Se vediamo un robot muovere la bocca, gli occhi o parlare, allora ci viene istintivo collegarvi anche una voce, una vista o un pensiero.

L’umanizzazione è comunque un fenomeno ricorrente anche in altri ambiti (c’è chi si innamora delle aspirapolveri), ma con le fattezze umane è chiaro che sia ancora più forte come fenomeno. Non va dimenticato che i robot di attuale concezione spesso sono costruiti proprio per stupire la persone, spingendosi al limite del realismo.

Capita di essere colti alla sprovvista dal comportamento dalla macchina: magari si riceve uno sguardo di ricambio, o si assiste a movimenti che ci sorprendono. Per quanto un androide possa sembrare realistico però, siamo ancora lontani dalla vera perfezione e i movimenti meccanici o anche piccole incertezze nel movimento oculare o del viso ci fanno capire che c’è qualcosa di sbagliato in quell'”umano”.

Proprio per questo motivo, esiste un fenomeno molto studiato in robotica che prende il nome di Uncanny Valley (“zona perturbante”). Lo approfondiremo in separata sede, ma vi basti sapere che molti costruttori hi-tech – a causa della Uncanney Valley – si tengono lontani dall’ultra realismo dei volti, perché sanno che troppa fedeltà al viso umano suscita un senso di repulsione verso il proprio prodotto.



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